Freno a disco

Disco

Disco freno

Introduzione

Il freno a disco è un dispositivo il cui scopo è rallentare o fermare la rotazione di una ruota e il mezzo a cui essa è vincolata. In altre parole la “pinza” del freno (rossa nella prima figura) è solidale al telaio (ossia in generale al veicolo) ed è la sede che ospita le “pastiglie” frenanti. Durante la frenata, un meccanismo preme le pastiglie contro il disco (solidale alla ruota) generando così una forza d’attrito direttamente proporzionale alla pressione. Di conseguenza la ruota riceve una coppia che contrasta la sua rotazione, cioè un’azione frenante.
Un freno a disco è costituito da un disco in ghisa o in acciaio solidale alla ruota il quale viene frenato tramite un sistema a pinza che spinge contro di esso una coppia di pastiglie composte da materiale d’attrito, che, premendo contro il disco contemporaneamente da entrambi i lati, ne causano il rallentamento assieme a quello della ruota. La pressione di spinta della pinza è generata grazie ad un dispositivo idraulico (come sulla maggior parte degli autoveicoli) o, talvolta, meccanico (per esempio le biciclette). I veicoli industriali (solitamente quelli di massa superiore a 6 tonnellate a pieno carico) hanno un dispositivo ad azionameno pneumatico pirelli.

Storia

I primi esperimenti con freni a disco iniziarono in Inghilterra negli ultimi anni del XIX secolo; i primi freni a disco vennero brevettati da Frederick William Lanchester di Birmingham nel 1902. Passò un quarto di secolo prima che il sistema venisse adottato. In particolare, la prima vettura a montarlo in serie fu la Citroën DS, nel 1955.
Il primo freno a disco, quello che si è poi trasformato nel sistema attualmente in uso, apparve in Inghilterra a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta del secolo scorso. Offrivano una capacità frenante decisamente superiore ai fino ad allora utilizzati freni a tamburo, ma quello non era il solo vantaggio. Anche la resistenza alla “dissolvenza” o con il termine inglese “fade” o “fading” (cioè la caratteristica di mantenere immutata o quasi la forza frenante dopo azionamenti ripetuti, limitando il surriscaldamento dei componenti) e la notevole efficacia frenante da bagnati (utile per la sicurezza su strada in caso di maltempo ed indispensabile per l’uso in fuoristrada) erano dei “plus” non indifferenti. La semplicità meccanica del sistema a disco, il minor numero di componenti utilizzato e la facilità di riparazione costituivano altri ulteriori ed innegabili vantaggi.
Come spesso avviene il primo impulso alla diffusione dei freni a disco venne dalle competizioni automobilistiche, dove le qualità sopra menzionate costituivano un grande vantaggio competitivo.
Le primissime implementazioni di questo sistema frenante prevedevano un solo disco montato vicino al differenziale, solo successivamente vennero montati all’interno delle ruote. La ragione del disco unico montato in posizione centrale scaturiva dal presupposto di avere minori masse non sospese, concentrazione della massa vicino al baricentro e minor riscaldamento degli pneumatici, fattore di vitale importanza per le Formula 1 di quel periodo.
I freni a disco sono oggi diventati indispensabili sulle autovetture di serie, anche se alcune auto (specie quelle più piccole e leggere) montano tuttora, sulle ruote posteriori, dei freni a tamburo per ragioni di costo, di semplicità di implementazione del freno di stazionamento (il cosiddetto “freno a mano”). Essendo la forza frenante delle auto concentrata in larghissima parte sulle ruote anteriori questa soluzione può comunque essere considerata un ragionevole compromesso.
Discorso differente per le motociclette sulle quali fino agli anni ’70 spopolavano enormi tamburi a più ganasce. L’avvento del disco freno a merito del grande produttore italiano Brembo che ha imposto i suoi prodotti nelle corse prima e sulla strada poi. Il disco da moto nasce pieno e, ad eccezione di alcuni prototipi apparsi nelle competizioni superbike negli anni ’90, non è mai stato conveniente o davvero vincente la soluzione autoventilante. Prototipi autoventilanti ottenuti per microfusione a cera persa di speciali acciai sono rimasti un bellissimo esercizio di tecnologia non supportati da una reale efficacia tecnico/economica. A fine anni ’90 e negli anni a venire si sono imposti sempre più prodotti dal profilo innovativo detto “a margherita” o “wave”. Si sono distinti in questo produttori italiani dediti principalmente alla vendita after-market. Questa attività è promotrice di un ritorno alle piste frenanti piene o comunque con pochi intagli. Questo per incontrare il massimo feeling di guida e una grande modularità di frenata senza per questo rinunciarne alla potenza. Un concetto quasi sparito, quello appunto della modularità, a causa dell’abuso di foratura sulle piste frenanti e all’impiego da parte di molti produttori di acciai inossidabili molto belli a vedersi ma non sempre all’altezza quanto a durata e prestazioni.

Fonte: wikipedia

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